Altre
Meditazioni Torna alla Home page
Dio è al servizio dell’umanità
Meditazione due voci su
Marco 14, 53-72
Venerdì Santo 2015 - Firenze
53 Condussero Gesù davanti al sommo sacerdote; e si riunirono tutti i capi dei sacerdoti, gli anziani e gli scribi.
54 Pietro, che lo aveva seguito da lontano, fin dentro il cortile del sommo sacerdote, stava lì seduto con le guardie e si scaldava al fuoco.
55 I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano qualche testimonianza contro Gesù per farlo morire; ma non ne trovavano.
56 Molti deponevano il falso contro di lui; ma le testimonianze non erano concordi.
57 E alcuni si alzarono e testimoniarono falsamente contro di lui dicendo:
58 «Noi l' abbiamo udito mentre diceva: "Io distruggerò questo tempio fatto da mani d' uomo, e in tre giorni ne ricostruirò un altro, non fatto da mani d' uomo"».
59 Ma neppure così la loro testimonianza era concorde.
60 Allora il sommo sacerdote, alzatosi in piedi nel mezzo, domandò a Gesù: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?»
61 Ma egli tacque e non rispose nulla. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò e gli disse: «Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?»
62 Gesù disse: «Io sono; e vedrete il Figlio dell' uomo, seduto alla destra della Potenza, venire sulle nuvole del cielo».
63 Il sommo sacerdote si stracciò le vesti e disse: «Che bisogno abbiamo ancora di testimoni?
64 Voi avete udito la bestemmia. Che ve ne pare?» Tutti lo condannarono come reo di morte.
65 Alcuni cominciarono a sputargli addosso; poi gli coprirono la faccia e gli davano dei pugni dicendo: «Indovina, profeta!» E le guardie si misero a schiaffeggiarlo.
66 Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una delle serve del sommo sacerdote;
67 e, veduto Pietro che si scaldava, lo guardò bene in viso e disse: «Anche tu eri con Gesù Nazareno».
68 Ma egli negò dicendo: «Non so, né capisco quello che tu dici». Poi andò fuori nell' atrio e il gallo cantò.
69 La serva, vedutolo, cominciò di nuovo a dire ai presenti: «Costui è uno di quelli». Ma lui lo negò di nuovo.
70 E ancora, poco dopo, coloro che erano lì dicevano a Pietro: «Certamente tu sei uno di quelli, anche perché sei Galileo».
71 Ma egli prese a imprecare e a giurare: «Non conosco quell' uomo di cui parlate».
72 E subito, per la seconda volta, il gallo cantò. Allora Pietro si ricordò della parola che Gesù gli aveva detta: «Prima che il gallo abbia cantato due volte, tu mi rinnegherai tre volte». E si abbandonò al pianto.
E’ notte, è notte fonda, ma, ecco. Il canto di un gallo, riempie l’aria a malapena riscaldata da un fuoco improvvisato nel cortile. Il canto di un gallo in piena notte… Una notte fredda. Ma qui non si dorme, è una serata strana. Qualche ora fa sono arrivati alla spicciolata sacerdoti, anziani del popolo, esperti di diritto, convocati d’urgenza. Il capo dei sacerdoti con il suo codazzo si è aggiunto alla compagnia. Sembrava avere fretta. Poi una guarnigione di soldati del tempio hanno condotto e spinto dentro un uomo incatenato. Un uomo solo. Un uomo che soltanto qualche giorno prima aveva richiamato l’attenzione di molti in città. Alcuni conoscevano il suo nome, aveva fama di un profeta, un aspirante messia venuto dalla provincia… Quanti ne abbiamo visti di uomini come lui. Ogni tanto viene uno che pensa di saperla lunga più degli altri, invasati che vogliono farla finita con l’occupazione romana, fanno discorsi infuocati, la gente che non ne può più della prepotenza dei soldati e della corruzione degli altri, ci crede, si scalda, inneggia al nuovo capo, vuole fare la rivoluzione. Ma, poi, la fine è sempre la stessa. Ora tocca a questo Gesù che viene da Nazareth. Povero diavolo. Troveranno la maniera di metterlo a tacere per sempre.
Che confusione in questo sinedrio stasera. Non sembra neppure un processo Sono venuto anch’io, convocato nella notte ma no, non posso dire che questo sia un processo regolare. Ho saputo che Caifa, il sommo sacerdote, si è già incontrato segretamente con alcuni degli altri capi, qualcuno mi ha riferito che la sentenza è già stata pronunciata contro quest’uomo nelle segrete stanze. Da quello che vedo capisco che è così. Chi sono quelli che prendono la parola per parlare contro di lui? Cosa stanno dicendo? L’ho sentito anch’io quest’uomo insegnare nel tempio e non mi è sembrato pericoloso. Anzi… Una volta sono perfino andato di notte ad interrogarlo sulla sua dottrina. L’avevo sentito parlare, volevo capirne di più. Quella volta mi aveva impressionato quando mi aveva detto che anche se ero già vecchio dovevo rinascere, dovevo rinascere attraverso lo Spirito e lo Spirito era come il vento che non si vede ma i cui effetti possono essere fortissimi e visibilissimi. Il vento scompiglia tutto… Ci avevo ripensato tante volte a quell’invito: devi rinascere, il vento di Dio scompiglierà la tua vita… Ci sto ancora pensando. Ma stasera ecco, mi hanno convocato qui, ma, capisco, non per cercare la verità su quest’uomo ma per distruggerlo. Questo processo è una farsa. Tanto è già tutto deciso. Cosa farneticano quelli? E li chiamano testimoni? Non ce n’è uno che dica qualcosa di sensato e sia d’accordo con quello che dicono gli altri. Un tempio da distruggere e da ricostruire in tre giorni? Così avrebbe detto? E che accusa è? Ecco Caifa che si alza, imponente nelle sue vesti sontuose e gli grida contro con quella sua voce tonante: “Cosa fai non parli? Non ti difendi? Allora, sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?”. “Io sono, e vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della potenza venire sulle nuvole del cielo”. E’ la visione del profeta Daniele, questa. Quest’uomo mi turba. Quelle parole, quella voce… quello sguardo che sembra attraversarmi l’anima. E se fosse proprio così? Se quest’uomo fosse innocente? Se dicesse la verità… Caifa si straccia le vesti, l’accusa di blasfemia, tuona il verdetto che aveva già deciso. Tutti urlano. Gli gridano contro. Lo vogliono morto. Cosa stiamo facendo? Perché non dico niente? Ho paura. Sarebbe tutto inutile. Morte… vogliono la sua morte.
E ora che fanno? Gli sputano addosso, lo strattonano, lo deridono, lo prendono a schiaffi, l’hanno messo in mezzo, se lo passano di mano come un fantoccio inanimato. E ridono, ridono…
Via, via, via di qui.
Fa freddo qua fuori. Che cosa gli staranno facendo? Sento urlare, cerco di capire che cosa sta succedendo là dentro ma non riesco a capire niente. Mi avvicino ma non devo agitarmi, dare nell’occhio… Cerco di scaldarmi appena un po’ le mani al fuoco ma il freddo mi è entrato nelle ossa. Un incubo. Come ci siamo arrivati a questo? Non lo capisco, non lo capisco. Sono solo qua fuori. E gli altri? Si sono dileguati. E lui è lì dentro. Urlano sempre più. Cosa gli fanno? E ho anche paura che mi riconoscono come uno dei suoi. Ecco una mi guarda. “No, donna, no, non conosco quell’uomo”. Ecco, questa donna ha sospettato che stavo con Gesù. Continua a fissarmi, mi incalza, meglio che mi sposto nell’atrio così non mi vede e si dimentica di me. Ma perché mi segue, ce l’ha con me. Ecco, mi addita anche agli altri: “Costui era con quell’uomo!”, “Ma no, cosa dici, ma no”. Mi guardano tutti: “Sei con lui, vero, si sente dall’accento che sei galileo”. “Ma se non lo conosco neanche… che dite? Di chi parlate, eh? Ve lo giuro, non so neppure di chi state parlando. Chi è quest’uomo di cui parlate, eh? Un malfattore, un ladro, io che ne so, mai visto. Vi ho detto che non lo so. Lasciatemi in pace. Basta”.
Un gallo canta in lontananza, è notte ma è la seconda volta… Oddio.. ora ricordo, me l’aveva detto, lui: “Prima che il gallo canti due volte, mi avrai già rinnegato tre volte”. Una fitta, un dolore lancinante al cuore, gli avevo detto che mai l’avrei abbandonato, tutti potevano disperdersi, ma io no, mai l’avrei lasciato solo, mai. Ecco la fine di tutto, ecco cosa sono, il più miserabile fra tutti gli uomini, questo sono io, un bugiardo, un uomo che non vale nulla…
Era notte. La notte dell’abbandono. La luna quasi piena, pallida e indifferente, illuminava spettrale la città. Muta come tutto il cielo. Nell’estrema periferia dell’impero si consumava l’ennesima ingiustizia. Poco importava se l’iniziativa per togliere di mezzo un uomo scomodo era stata di una classe dirigente corrotta o di un esercito di occupazione. Ogni volta che si consuma un’ingiustizia su questa terra è sempre complicato risalire a tutte le complicità. Era colpevole Caifa con i suoi complici che avevano preso la decisione di far fuori Gesù perché ne erano invidiosi? O perché lo consideravano un pericoloso capopolo? O perché aveva osato sfidare nel tempio il cuore dei loro traffici? O erano colpevoli i teologi che conoscevano a menadito la parola del libro sacro nelle virgole e nei punti ma non ne investigavano con onestà intellettuale il senso più profondo dell’amore, della misericordia, della volontà di Dio? O era colpevole il popolo che aveva ascoltato e seguito Gesù ma non lo aveva mai compreso? Che lo aveva osannato ma poi l’aveva mandato a morire così, con superficialità solo per godersi lo spettacolo? O era stato colpevole Pilato, procuratore annoiato e spietato di un impero potente e lontano che sognava solo di lasciare quella litigiosa provincia per tornare ai fasti della Roma imperiale? O erano colpevoli quei suoi seguaci che l’avevano conosciuto, seguito, che avevano diviso con lui il pane e il sonno ma che al momento opportuno si erano dileguati senza lasciare tracce? O era colpevole Pietro, amico fanfarone, pusillanime e confuso? O Giuda che, seguendo contorti ragionamenti l’aveva consegnato, forse per soldi, nelle mani dei suoi assassini? O la soldataglia, quella al soldo dei sacerdoti e quella al soldo di Roma, esecutori sadici incapaci di scorgere l’umanità nella debolezza dei senza potere?
Ogni ingiustizia ha radici profonde nella violenza sorda e cieca, la stessa violenza che dagli albori dell’umanità fino ad oggi spinge Caino ad ascoltare la voce solitaria del suo rancore, sopprimendo l’altra voce, quella di Dio che pure parla al suo cuore implorandogli di resistere al male, di fermare il suo braccio finché è ancora in tempo.
Ma Gesù fu lasciato solo nel caos degli insulti urlatigli contro, e nel silenzio di chi non ebbe il coraggio di difenderlo. Perché la realtà è che quella notte non ci fu nessuno che prese le sue difese. Neppure un avvocato d’ufficio. Non si levò una sola voce in sua difesa. Nessuna.
Il Vangelo di Marco ce la racconta così quella notte, come la notte dell’abbandono. Sarebbe stata la notte più lunga che si sarebbe prolungata fino alle tre del pomeriggio successivo quando già da mezzogiorno il cielo si sarebbe oscurato e un grido lancinante di Gesù avrebbe squarciato l’aria e raggiunto il cielo “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Ecco, in quel momento l’abbandono apparve assoluto, completo, perfetto. Anche Dio partecipava alla lunga notte dell’abbandono. Il cielo oscurato restò in silenzio, Dio non intervenne, Gesù morì solo. Un forte grido squarciò cielo e terra.
Dal fondo di tutte le complicità il racconto solo a quel punto si apre ad una dichiarazione inaudita per bocca dell’ultimo anello della lunga catena di complicità. Nella notte assoluta dell’ingiustizia il centurione, capo torturatore dell’impero, e con lui idealmente i discepoli infedeli, insieme ad ogni uomo e a ogni donna della folla volubile e superficiale, insieme ai cinici giudici del processo farsa, insieme al freddo procuratore imperiale, insieme a tutti i Caino di tutti gli Abele della lunga storia dell’umanità, in quella notte senza sole e senza luna una verità venne pronunciata da labbra impure e mai più smentita: “Veramente quest’uomo era figlio di Dio”.
Oggi raccontiamo questa storia. La raccontiamo di nuovo. Ci ferisce perché ci rivela a noi stessi. E’ una vecchia storia.
Il figlio è Dio stesso messo in croce. E’ Dio stesso, nel suo figlio, il nostro capro espiatorio. E’ Dio il colpevole di tutto quello che non va, che non funziona. E’ Lui in ultima analisi che va biasimato, accusato, bestemmiato. E’ Dio che vogliamo uccidere perché non ci risolve i problemi e per prendere il suo posto.
E’ una vecchia storia che si ripete in ogni generazione quando ce la prendiamo con i più deboli, quando stiamo zitti perché parlare non ci conviene. E’ una vecchia storia quando a farne le spese è qualcun altro e noi ci sfiliamo per salvarci la pelle e la reputazione.
E’ una vecchia storia quella di Gesù di Nazareth e i suoi stupidi insegnamenti di amore disarmato. Ecco la fine che hanno fatto! Questo è il mondo vero, svegliati, combatti con le unghie e con i denti. Altrimenti soccombi. Una stupida vecchia storia.
Però noi oggi vogliamo raccontare di nuovo questa vecchia storia. Proprio perché quella storia parla di noi.
Perché chi l’ha raccontata la prima volta l’ha fatto con la convinzione che quella vecchia storia potesse trasformarsi in una storia nuova, cioè una storia che fa diventare chi l’ascolta persone nuove.
Forse è notte anche oggi per noi, per te, per me. E allora forse in lontananza sentiamo anche noi il canto di un gallo. Ci stupisce, non ce l’aspettavamo. Canta per noi. Ci ricorda qualcosa che avevamo dimenticato nella notte dell’anima mentre eravamo concentrati a piangerci addosso e a cercare di salvare noi stessi. Quel canto nella notte ci ricorda qualcuno che, incapace di tradirci, non ha mai smesso di volerci bene.
Se individuiamo noi stessi in quella folla sbadata e superficiale, o nell’amico infedele, o nel cinico calcolatore di come va il mondo, o semplicemente nel ruolo di spettatori inorriditi ma impotenti e diciamo: “Perdonaci Gesù, abbi pietà di me. Tu sei il Figlio di Dio. Perdona il mio cinismo, la mia codardia, la mia disonestà, il mio tradimento”.
Se oseremo fare questo, se avremo il coraggio di farlo, allora sarà una storia nuova. E non avremo da aspettare neppure tre giorni per risorgere e vivere una vita nuova. Cambia tutto, subito. Il vento di Dio è capace di scompigliare la nostra vita e darle un nuovo corso. Oggi.
Che Dio ci perdoni. E ci rinnovi. Amen.
Anna Maffei e Massimo Aprile
|